Le dichiarazioni di ACADI riportate su Italia Oggi del 5 gennaio 2021. "Ristori insufficienti a salvaguardare il comparto del gioco pubblico che matura perdite per l’erario pari a 5mld.
È il rimprovero di Geronimo Cardia, presidente dell’Associazione concessionari di giochi pubblici (Acadi), che redige un bilancio drammatico sull’impatto delle chiusure disposte dai vari provvedimenti governativi per fronteggiare l’emergenza da Covid-19 su un settore che conta oltre 100 mila lavoratori e nel 2020 ha sperimentato una perdita di gettito erariale da imposte sul gioco di quasi cinque miliardi di euro. “I rinvii di versamenti di imposte e contributi in alcuni casi non coprono né dicembre né gennaio, il ristoro una tantum, se arriverà, non raggiungerà neanche il 5% dei costi di un intero anno nei casi migliori, a fronte di perdite di ricavi per oltre il 50%. Inoltre, ormai esaurite le finestre dei provvedimenti emergenziali di fine anno, la gran parte delle richieste formulate è rimasta senza alcuna formalizzazione nonostante la presa di posizione avanzata dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli come le proroghe delle concessioni, essendo le gare inattuabili per la nota questione territoriale dei provvedimenti regionali di fatto totalmente interdittivi, o la sterilizzazione degli effetti collaterali non voluti della tessera sanitaria”. Misure che appaiono totalmente inadeguate e oltretutto parziali, dunque, a cui si aggiunge “l’entrata in vigore, non sterilizzata, dell’aumento di tassazione imposto al comparto nell’ultima legge di bilancio ante pandemia approvata a dicembre 2019”. La chiusura dei locali da gioco ha inoltre comportato la mancanza di un’offerta pubblica controllata che ha favorito il proliferare dell’illegalità, come sottolineato dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli e dai presidi di pubblica sicurezza. Un provvedimento che, secondo Cardia, sarebbe del tutto ingiustificato anche alla luce del fatto che: “i protocolli adottati dal comparto assicurano massimi presidi di sicurezza ad utenti e lavoratori”, che avvertono in questo senso delle “disparità di trattamento rispetto ad altre categorie” cui viene concesso di rimanere aperti. “Ci vuole responsabilità, sicuramente, ma ci vogliono anche giustizia, equità e non discriminazione”