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Venti di proibizionismo sul gioco lecito

Editoriale del 14 marzo 2014

A cura di G.Matica

“Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. Per gli amanti della cinematografia, questa citazione tratta da “Il “Gattopardo” rimanda ad uno dei più noti lavori del grande regista Luchino Visconti. Per uno spettatore più avvezzo al contesto storico in cui il celebre romanzo di Tomasi di Lampedusa venne ambientato, detta citazione induce ad una riflessione sempre attuale, ancor più nel momento politico che sta interessando, tra gli altri, il settore del gioco lecito.
La regolamentazione del comparto degli apparecchi da intrattenimento ha avuto come obiettivo principale il contrasto dell’illegalità attraverso un’offerta di gioco controllata, o comunque contingentata, e la lotta contro ogni forma di degenerazione psicologica tipica della dipendenza da gioco d’azzardo.
 
Il trend del momento, purtroppo, si sta traducendo in un’intensa attività normativa e regolamentare degli Enti Locali, finalizzata essenzialmente alla limitazione dell’offerta di gioco legale, in termini di distribuzione sia quantitativa che territoriale.
 
Il provvedimento originario che ha ispirato l’attività di Regioni e Comuni è stato il c.d. Decreto Balduzzi, di emanazione statale, con il quale sono state fissate le linee guida del nuovo corso regolamentare: limitazione dei messaggi pubblicitari in materia di gioco, tutela dei minori e distribuzione territoriale dell’offerta che rispetti una certa distanza dai c.d. “luoghi sensibili”. 
Ciò che è accaduto in seguito è l’ennesima distorsione del sistema: gli Enti Locali stanno interpretando l’orientamento Balduzzi in maniera fin troppo restrittiva e, nel sostituirsi allo Stato centrale (cui, di contro, spetterebbe un’espressa riserva di legge in materia di organizzazione dei giochi) stanno attuando una politica di sostanziale proibizionismo.
 
Nell’ottica dei detrattori del settore, si plaude quindi ad una rinnovata moralizzazione dei costumi che vede nella repressione del gioco lecito la soluzione unica di tutti i problemi, ma di fatto si sta consentendo alle organizzazioni malavitose la riconquista del mercato del gioco.
Siamo davvero certi, dunque, che il “nuovo corso” praticato a testa alta dagli Enti Locali sia la sola medicina in grado di debellare tutti i mali di cui tanto si parla?
Ebbene, il proibizionismo è una scelta comoda, semplicistica, ma certamente non giusta: per contrastare la diffusione del GAP (gioco d’azzardo patologico) non basta un mero divieto del gioco o un bollino “no slot”, ma occorre un approfondimento delle cause che ne sono alla base (non sarà forse la crisi economica e sociale, che da più di due anni fa strage di posti di lavoro e di intere imprese, ad esser la causa principe di un disagio che porta i soggetti più deboli a rivolgersi al gioco come possibile soluzione a problemi di sopravvivenza quotidiana?) e lo studio di soluzioni ragionate che siano in grado di contemperare in maniera sana gli interessi di tutte le parti coinvolte: Erario, mantenimento dell’occupazione per migliaia di “addetti ai lavori”, tutela dell’iniziativa economica privata e della imprenditoria.
 
Ove si continui a ritenere che un problema esiste soltanto nella manifestazione dei suoi effetti, qualsiasi iniziativa volta al cambiamento, in quanto fondata su falsi presupposti, sarà destinata a fallire. Fare un passo indietro e tornare all’epoca dei videopoker e del gioco senza regole sarà a quel punto inevitabile e “tutto rimarrà com’era”, proprio come nella migliore tradizione “gattopardiana”.

 
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