In questo caso il Tar Emilia Romagna ha scelto di salvaguardare il distanziometro di fatto espulsivo (eccependo la mancanza di prova) ma ha ritenuto di dare tutela al ricorrente, censurando la normativa urbanistica e attribuendo al punto il diritto di sopravvivere anche in deroga al distanziometro. (Jamma luglio 2022)
Il Tar dell’Emilia Romagna (sezione staccata di Parma) ha emesso la sentenza n. 102/2022 (243/2018 Reg. Ric) pubblicata il 22/04/2022 nell’ambito di un giudizio adito da un operatore del comparto del gioco pubblico per l’annullamento del provvedimento di chiusura notificatogli in virtù della normativa sul distanziometro regionale. Con la sentenza vengono rigettati sostanzialmente tutti i numerosi motivi di impugnazione evidenziati nel ricorso e nei motivi aggiunti, fatto salvo quello per l’effetto espulsivo determinato dalla normativa urbanistica e, si legge, non dal distanziometro regionale.
Tralasciando tutti gli altri motivi di impugnazione è interessante rilevare che dapprima la sentenza chiarisce che va rigettato il motivo di impugnazione che denuncia un effetto espulsivo delle realtà del gioco per l’applicazione della normativa regionale del distanziometro, perché il ricorrente non avrebbe dato la prova di tale circostanza. Ed in particolare, al riguardo, si legge: il ricorrente “paventa un effetto espulsivo del gioco nel territorio del Comune di Reggio Emilia e ciò a causa della mappatura svolta dal Comune medesimo che ha individuato circa settecento luoghi sensibili sul proprio territorio. (…) La censura, come svolta e in disparte quanto si dirà con riferimento al primo ricorso per motivi aggiunti, è infondata in quanto parte ricorrente deduce la presenza di un effetto espulsivo nel territorio comunale derivante dalla circostanza che i luoghi sensibili individuati sul predetto territorio sono in numero elevato ma tale affermazione risulta del tutto sfornita di prova in quanto non analizza il territorio comunale puntualmente e non dà prova della circostanza che l’elevato numero di luoghi sensibili impedisce, di per sé, la presenza di attività di gioco come quella svolta dalla ricorrente”
Ma poi il punto che rileva è quello in cui viene ricordato che il ricorrente ha denunziato anche che “l’attuale normativa urbanistica del Comune di Reggio Emilia, congiuntamente alla volontà del predetto Comune di non avvalersi della facoltà di stipulare accordi operativi, comporta, al momento, l’impossibilità per la ricorrente di delocalizzare la propria sala gioco in quanto nel predetto Comune non vi sarebbero, ad oggi, aree idonee allo svolgimento di tale attività dal punto di vista urbanistico e, dunque, il provvedimento di chiusura impugnato sarebbe definitivo nel senso che lo stesso, seppure indirettamente, non consentirebbe la dislocazione dell’attività della stessa lontano da luoghi sensibili ma ne sancirebbe la chiusura definitiva visto che gli strumenti pianificatori presenti nel predetto Comune, congiuntamente alla volontà dello stesso di non promuovere accordi operativi, determinano l’effetto espulsivo per le attività di gioco che devono cambiare sede, non essendoci sedi possibili sul territorio comunale e ciò a prescindere dalla vicinanza o meno di tali nuove sedi rispetto a luoghi sensibili.”
E viene poi precisato che “la censura è fondata”.
Il Collegio di fatto mette bene in evidenza che “risulta chiaro che, al momento, parte ricorrente non può dislocare la propria attività sul territorio del Comune di Reggio Emilia in quanto lo stesso, in considerazione degli strumenti pianificatori vigenti e della propria volontà di non addivenire ad accordi operativi, non consente la dislocazione (od il nuovo insediamento) di attività di gioco nel proprio territorio e ciò a prescindere dalla vicinanza o meno di tali attività dai luoghi sensibili individuati dal medesimo Comune. Tale conclusione comporta il verificarsi, in concreto, di un effetto espulsivo dell’attività di sala gioco svolta dalla ricorrente dal territorio comunale, in quanto la stessa non può al momento essere collocata in alcuna zona.”
E la sentenza prosegue affermando che “ne deriva, conseguentemente, che l’ordinanza comunale di chiusura della sede, impugnata coi primi motivi aggiunti, è illegittima (e va annullata) in quanto determina il predetto effetto espulsivo e ciò non per la presenza di molteplici luoghi sensibili sul territorio comunale, come dedotto da parte ricorrente nell’ultimo motivo del ricorso introduttivo, ma per il (diverso) motivo, formulato coi predetti primi motivi aggiunti, consistente nella presenza di strumenti pianificatori comunali che, in combinato disposto con l’azione comunale stessa concernente il rifiuto di stipulare accordi operativi, non consentono al momento la dislocazione di attività di gioco nel territorio del Comune di Reggio Emilia in quanto sul tale territorio non vi sono aree urbanisticamente idonee all’ubicazione di attività di gioco.
Si tratta, dunque, di una situazione peculiare in cui l’effetto espulsivo non è determinato dal cosiddetto “distanziometro”, ossia la necessaria distanza di almeno 500 metri dell’attività di gioco dai luoghi sensibili individuati dal Comune, ma dalla situazione urbanistica presente nello stesso Comune congiuntamente alla sua volontà di non addivenire alla stipula di accordi operativi; tale diversa genesi del fenomeno espulsivo non è, però, rilevante ai fini della legittimità del provvedimento impugnato, in quanto è stato ribadito più volte che la tutela della salute pubblica dal fenomeno della ludopatia non può comportare un effetto espulsivo delle attività lecite di gioco svolte dalle imprese sul territorio ma solo una loro diversa dislocazione sul predetto territorio.
In altri termini, i vari provvedimenti regionali e comunali in tema di prevenzione del fenomeno della ludopatia incontrano il limite della presenza di tali attività sul territorio comunale, nel senso che le stesse non possono essere chiuse qualora tale chiusura non consenta alle medesime la dislocazione in altra area del territorio comunale per la numerosa presenza di luoghi sensibili, circostanza più spesso invocata nei vari giudizi in merito, o, come invece avviene nel presente, peculiare, caso, per la presenza di una normativa urbanistica, come attuata dal Comune di Reggio Emilia, che ne impedisce la presenza.”
Peraltro, i Giudici mettono in evidenza che il Comune stesso ha indicato che non vi fossero zone insediabili e che “qualora vi fossero state delle aree nel territorio comunale in cui era possibile insediare la sala gioco della ricorrente, era onere della difesa comunale indicarle puntualmente proprio per dare atto dell’insussistenza di un effetto espulsivo delle stesse attività”.
La conclusione dell’iter logico proposto nel provvedimento risulta infine la seguente: “si evince che lo stesso ha avuto, quale effetto concreto, l’espulsione dell’attività svolta dalla ricorrente dal territorio comunale in quanto la stessa non poteva più, a tale data, spostare la propria sede (o aprirne un’altra) sul medesimo territorio non essendo consentito dagli strumenti urbanistici vigenti l’uso relativo a tale attività e non essendo intenzione del Comune pervenire alla stipula di accordi operativi.
Pertanto, si ribadisce, il provvedimento di chiusura (…) è illegittimo in quanto (…) lo stesso aveva come effetto non (solo) quello di chiudere la sede della ricorrente situata in quel preciso punto ma di espellere tale sede dal territorio comunale atteso che, per quanto già più volte ricordato, non era possibile per la ricorrente dislocare tale attività sul territorio comunale per la mancata previsione di tale possibile insediamento da parte degli strumenti urbanistici e della volontà del Comune di Reggio Emilia.
(…) Per tutto quanto sopra esposto, (…) va annullata l’ordinanza comunale (…) con cui è stata disposta la chiusura dell’attività dell’odierna ricorrente (…)”
La sala dunque rimane aperta, nonostante si trovi ad una distanza inferiore ai 500 metri ad uno dei luoghi sensibili. Se altre realtà si troveranno nelle stesse condizioni potranno far valere le medesime ragioni.
Una nota tuttavia va fatta.
Nella sostanziale totalità dei contenziosi proposti dagli operatori avvero i provvedimenti espulsivi provocati dall’applicazione dei distanziometri regionali la contestazione dell’effetto espulsivo è strutturata su perizie urbanistiche che, come si è avuto modo di rappresentare in numerose pubblicazioni, rappresentano ai Giudici la valutazione urbanistica del combinato disposto dei divieti posti dall’applicazione diretta dei distanziometri, da un lato, e dalla verifica dei divieti di natura urbanistica altrimenti determinati, dall’altro.
Ora non v’è chi non veda che i divieti urbanistici altrimenti posti siano necessariamente sempre preesistenti rispetto alla normativa dei distanziometri e che se non vi fossero i distanziometri dai parametri così ampi non vi sarebbero divieti complessivi così prossimi al 100%.
In questo caso il Tar Emilia Romagna ha scelto di salvaguardare il distanziometro di fatto espulsivo (eccependo la mancanza di prova) ma ha ritenuto di dare tutela al ricorrente, censurando la normativa urbanistica, attribuendo al punto il diritto di sopravvivere anche in deroga al distanziometro.
In un altro caso di anni addietro, il Tar Piemonte decise, perizia urbanistica alla mano di non censurare il distanziometro e, affermando che si sarebbe trattato semmai di un problema urbanistico, di non dare tutela al ricorrente: “Sono (…) al più i piani regolatori e la strumentazione urbanistica a doversi adeguare in modo razionale alle istanze poste dalla normativa sopravvenuta (che spesso addossa alla pianificazione urbanistica esigenze organizzative che vanno ben al di là del mero sviluppo edilizio), recependo le finalità dettate dalle disposizioni regionali in modo da consentire comunque una organizzazione dell’attività degli apparecchi AWP. Altrimenti opinando dovrebbe immaginarsi che la legittimità di ogni disposizione in tema di commercio (si pensi alle stesse liberalizzazioni) trovi limite e condizione nelle previgenti e mutevoli disposizioni di piano regolatore. In sostanza l’entrata in vigore di una nuova disposizione di legge che incide sull’allocazione di un determinato esercizio/servizio impone alle amministrazioni locali di tenere conto, nella propria pianificazione, dei divieti di legge e comunque dei nuovi valori sui quali la pianificazione dovrà in qualche modo modellarsi, sì da garantire l’obiettivo della legge stessa (in sintesi allontanare dalle zone centrali e più accessibili gli apparecchi AWP), e contestualmente individuare aree disponibili per l’insediamento di gestori di AWP.” (Tar Piemonte sentenza n. 1261/2018 – Reg. Ric. 1202/2017).
Ebbene anche per risolvere queste asimmetrie è quanto mai opportuno che il riordino intervenga anche rivitalizzando i più volte richiamati principi dell’intesa.
Geronimo Cardia
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